Capitolo 6. Buone pratiche per la pacchettizzazione

Indice

6.1. Buone pratiche per debian/rules
6.1.1. Script di supporto
6.1.2. Separare le proprie patch in più file
6.1.3. Pacchetti binari multipli
6.2. Buone pratiche per debian/control
6.2.1. Linee guida generali per le descrizioni dei pacchetti
6.2.2. La sinossi del pacchetto, o una breve descrizione
6.2.3. La descrizione lunga
6.2.4. Home page originale del pacchetto
6.2.5. La posizione del Version Control System
6.2.5.1. Vcs-Browser
6.2.5.2. Vcs-*
6.3. Buone pratiche per il debian/changelog
6.3.1. Scrivere informazioni utili nel file changelog
6.3.2. Comuni incomprensioni sulle voci del changelog
6.3.3. Errori frequenti nelle voci del changelog
6.3.4. Integrare i changelog con i file NEWS.Debian
6.4. Buone pratiche per gli script del mantainer
6.5. Gestione della configurazione con debconf
6.5.1. Non abusare di debconf
6.5.2. Raccomandazioni generali per autori e traduttori
6.5.2.1. Scrivere inglese corretto
6.5.2.2. Sii gentile con i traduttori
6.5.2.3. Ordinare intere traduzioni quando si correggono errori di battitura e di ortografia
6.5.2.4. Non fare ipotesi sulle interfacce
6.5.2.5. Non utilizzare la prima persona
6.5.2.6. Usare il genere neutro
6.5.3. Definizione dei campi dei modelli
6.5.3.1. Tipo
6.5.3.1.1. stringa
6.5.3.1.2. password
6.5.3.1.3. booleano
6.5.3.1.4. seleziona
6.5.3.1.5. multiselect
6.5.3.1.6. nota
6.5.3.1.7. testo
6.5.3.1.8. errore
6.5.3.2. Descrizione: descrizione breve ed estesa
6.5.3.3. Scelte
6.5.3.4. Default
6.5.4. Guida a specifici stili di modelli di campi
6.5.4.1. Type field
6.5.4.2. Il campo Description
6.5.4.2.1. Modelli di string/password
6.5.4.2.2. Modelli booleani
6.5.4.2.3. Selezione/Multiselezione
6.5.4.2.4. Notes
6.5.4.3. Campo Choises
6.5.4.4. Campo Default
6.5.4.5. Campo Default
6.6. Internazionalizzazione
6.6.1. Gestione delle traduzioni debconf
6.6.2. Documentazione internazionalizzata
6.7. Situazioni comuni durante la pacchettizzazione
6.7.1. Pacchettizzazione utilizzando autoconf/automake
6.7.2. Le librerie
6.7.3. La documentazione
6.7.4. Specifici tipi di pacchetti
6.7.5. Dati indipendenti dall'architettura
6.7.6. Aver bisogno di una particolare localizzazione durante la compilazione
6.7.7. Rendere i pacchetti di transizione conformi a deborphan
6.7.8. Buone pratiche per i file .orig.tar.{gz,bz2,xz}
6.7.8.1. Sorgente puro
6.7.8.2. Sorgente originale ripacchettizzato
6.7.8.3. Modifica dei file binari
6.7.9. Buone pratiche per i pacchetti di debug
6.7.10. Buone pratiche per i metapacchetti

La qualità della distribuzione Debian è in gran parte dovuta alla Debian Policy, che definisce i requisiti di base espliciti che tutti i pacchetti Debian devono soddisfare. Ma vi è anche una storia condivisa di esperienza che va oltre la policy Debian, un accumulo di anni di esperienza nella pacchettizzazione. Molte persone di grande talento hanno creato grandi strumenti, strumenti che aiutano voi, i maintainer di Debian, a creare e mantenere ottimi pacchetti.

Questo capitolo fornisce alcune buone pratiche per gli sviluppatori Debian. Tutte le raccomandazioni sono solo tali, e non sono requisiti o policy. Questi sono solo alcuni spunti soggettivi, i consigli e i punti raccolti da sviluppatori Debian. Ci si senta liberi di scegliere quello che funziona meglio.

Le seguenti raccomandazioni si applicano al file debian/rules. Dal momento che il debian/rules controlla il processo di generazione e seleziona i file da inglobare nel pacchetto (direttamente o indirettamente), è normale che i maintainer del file spendano molto tempo su di esso.

L'idea nell'utilizzo degli script di aiuto in debian/rules è che essi hanno consentito ai maintainer di usare e condividere la logica comune tra molti pacchetti. Si prenda per esempio la questione dell'installazione delle voci di menu: è necessario mettere il file in /usr/share/menu (o /usr/lib/menu per gli eseguibili binari dei menufile, se questo è necessario), e aggiungere i comandi agli script del maintainer per registrare ed annullare la registrazione delle voci di menu. Dal momento che questa è una cosa molto comune da fare con i pacchetti, perché ogni maintainer dovrebbe riscrivere tutto questo da solo, a volte con bug? Inoltre, supponendo che la cartella menu cambi, ogni pacchetto dovrebbe essere cambiato.

Gli script di supporto si occupano di questi problemi. Supponendo che ci si attenga alle convenzioni previste dallo script di supporto, quest'ultimo si prende cura di tutti i dettagli. Cambiamenti nella policy possono essere effettuati nello script helper; successivamente i pacchetti avranno solo bisogno di essere ricompilati con la nuova versione dell'helper e nessuna ulteriore modifica.

Appendice A, Panoramica degli strumenti del Debian Maintainer contiene un paio di diversi script di supporto. Il sistema di supporto più comune e migliore (a nostro parere) è debhelper. I sistemi di supporto precedenti, come debmake, erano monolitici: non si poteva scegliere quale parte dell'helper si riteneva utile, ma si doveva usare l'helper per fare tutto. debhelper, invece, è una serie di programmi piccoli e separati dh_*. Per esempio, dh_installman installa e comprime le pagine man, dh_installmenu installa i file di menu, e così via. Così, si offre sufficiente flessibilità per essere in grado di utilizzare i piccoli script di aiuto, dove utile, in abbinamento con i comandi manuali in debian/rules.

Si può iniziare con debhelper leggendo debhelper(1), e guardando gli esempi distribuiti con il pacchetto. dh_make, dal pacchetto dh-make (si consulti Sezione A.3.2, «dh-make»), può essere utilizzato per convertire un pacchetto sorgente normale in un pacchetto debhelperizzato. Questa scorciatoia, però, non deve convincere che non è necessario preoccuparsi di capire i singoli script dh_ *. Se si ha intenzione di utilizzare uno script di supporto, ci si deve concedere il tempo necessario per imparare ad usare quello script, per imparare le sue previsioni e il suo comportamento.

Pacchetti grandi e complessi possono avere molti bug con cui ci si deve rapportare. Se si corregge una serie di bug direttamente nel sorgente, e non si sta attenti, può diventare difficile distinguere le varie patch che si sono applicate. Può essere abbastanza caotico quando è necessario aggiornare il pacchetto ad una nuova versione che integra alcune delle correzioni (ma non tutte). Non si può prendere l'intero insieme di diff (ad esempio, da .diff.gz) e capire quali patch occorrono per tornare indietro di una unità man mano che i bug vengono corretti nel sorgente originale.

Fortunatamente, con il formato sorgente «3.0 (quilt)» è ora possibile mantenere le patch separate senza dover modificare debian/rules per impostare un sistema di patch. Le patch vengono memorizzate in debian/patches/ e quando il pacchetto sorgente è spacchettato le patch elencate nel debian/patches/series vengono applicate automaticamente. Come suggerisce il nome, le patch possono essere gestite con quilt.

Quando si utilizza il più anziano sorgente «1.0», è anche possibile separare le patch, ma un sistema di patch dedicato deve essere utilizzato: i file di patch sono distribuiti all'interno del file di patch Debian (diff.gz.), di solito nella cartella debian/. L'unica differenza è che non vengono applicate immediatamente da dpkg-source, ma dalla regola build di debian/rules, attraverso una dipendenza dalla regola patch. Al contrario, essi sono annullati nella regola clean, attraverso una dipendenza dalla regola unpatch.

quilt è lo strumento consigliato per questo. Fa tutto quanto detto precedentemente e permette anche di gestire le serie di patch. Si veda il pacchetto quilt per ulteriori informazioni.

Ci sono altri strumenti per gestire le patch, come dpatch e il sistema di patch integrato con cdbs.

Le seguenti pratiche sono rilevanti per il filedebian/control. Esse integrano la Policy sulla descrizione dei pacchetti.

La descrizione del pacchetto, come definito dal corrispondente campo nel file control, contiene sia la sinossi del pacchetto sia la descrizione lunga del pacchetto. Sezione 6.2.1, «Linee guida generali per le descrizioni dei pacchetti» descrive le linee guida comuni ad entrambe le parti della descrizione del pacchetto. In seguito, Sezione 6.2.2, «La sinossi del pacchetto, o una breve descrizione» fornisce specifiche linee guida per la sinossi e Sezione 6.2.3, «La descrizione lunga» contiene specifiche linee guida per la descrizione.

La descrizione del pacchetto dovrebbe essere scritta probabilmente per l'utente medio, la persona media che utilizzerà ed avrà benefici dal pacchetto. Per esempio, pacchetti di sviluppo sono per gli sviluppatori e possono essere di natura tecnica nella loro linguaggio. Applicazioni più generiche, come gli editor, dovrebbero essere scritte per un utente meno tecnico.

La nostra analisi delle descrizioni dei pacchetti ci porta a concludere che la maggior parte delle descrizioni dei pacchetti sono di natura tecnica, cosi è, non sono scritte per avere senso per gli utenti non tecnici. A meno che il proprio pacchetto non sia realmente solo per utenti tecnici, questo costituisce un problema.

Come si scrive per gli utenti non tecnici? Si eviti il gergo. Evitare di riferirsi ad altre applicazioni o framework che l'utente potrebbe non conoscere - GNOME o KDE va bene, dal momento che gli utenti hanno probabilmente familiarità con questi termini, ma GTK+ probabilmente non lo è. Cercare di ipotizzare nessuna conoscenza a priori. Se è necessario utilizzare termini tecnici, spiegarli.

Si sia obiettivi. Le descrizioni dei pacchetti non sono il posto per promuovere il proprio pacchetto, non importa quanto lo si ami. Ricordare che il lettore potrebbe non essere interessato alle stesse cose che vi interessano.

I riferimenti ai nomi di eventuali altri pacchetti software, nomi di protocollo, standard o specifiche dovrebbero utilizzare la forma canonica, se ne esiste una. Ad esempio, utilizzare X Window System, X11 o X, non X Windows, X-Windows o X Window. Utilizzare GTK +, non GTK o gtk. Usare GNOME, non Gnome. Utilizzare PostScript, non Postscript o postscript.

Se si hanno problemi di scrittura della descrizione, si potrebbe desiderare di inviarla all'indirizzo di posta elettronica richiedendo un parere.

La descrizione lunga è la principale informazione sul pacchetto disponibile agli utenti prima che lo si installi. Essa dovrebbe fornire tutte le informazioni necessarie per permettere all'utente di decidere se installare il pacchetto. Si supponga che l'utente abbia già letto la sinossi del pacchetto.

La descrizione lunga deve essere composta da frasi complete ed esaustive.

Il primo paragrafo della descrizione lunga deve rispondere alle seguenti domande: che cosa fa il pacchetto? in che modo aiuta l'utente ad assolvere ai suoi task? È importante descrivere ciò in maniera non tecnica, salvo ovviamente quando il pacchetto è destinato ad una utenza tecnica.

I paragrafi che seguono devono rispondere alle seguenti domande: Perché, come utente, ho bisogno di questo pacchetto? Quali altre caratteristiche ha il pacchetto? Quali le caratteristiche e le carenze ci sono rispetto ad altri pacchetti (per esempio, se si ha bisogno di X, usare Y invece)? Questo pacchetto è correlato ad altri pacchetti in qualche modo che non viene gestito dal gestore di pacchetti (per esempio, questo è il client per il server foo)?

Fare attenzione ad evitare errori di ortografia e di grammatica. Ci si assicuri di effettuare il controllo ortografico. Entrambi ispell e aspell hanno modalità speciali per il controllo del file debian/control:

ispell -d american -g debian/control
aspell -d en -D -c debian/control

Gli utenti di solito si aspettano che queste domande ricevano risposta nella descrizione del pacchetto:

  • Che cosa fa il pacchetto? Se si tratta di un componente aggiuntivo per un altro pacchetto, allora la breve descrizione del pacchetto per il quale è un componente aggiuntivo dovrebbe essere inserita qui.

  • Perché dovrei volere questo pacchetto? Questo è legato al precedente, ma non è lo stesso (questo è un client di posta elettronica; questo è eccezionale, veloce, si interfaccia con PGP e LDAP e IMAP, ha caratteristiche X, Y e Z).

  • Se il pacchetto non deve essere installato direttamente, ma è richiamato da un altro pacchetto, questo dovrebbe essere menzionato.

  • Se il pacchetto è experimental, o ci sono altri motivi per i quali non dovrebbe essere usato, se invece ci sono altri pacchetti che dovrebbero essere utilizzati, esso dovrebbe essere indicato.

  • In che modo questo pacchetto si differenzia da altri? È un'implementazione migliore? più funzioni? caratteristiche diverse? Perché dovrei scegliere questo pacchetto.

Ci sono campi aggiuntivi per la posizione del Version Control System in debian/control.

Il valore di questo campo deve essere una stringa che identifica in modo inequivocabile la posizione del repository del Version Control System utilizzato per mantenere il pacchetto, se disponibile. * individua il Version Control System; attualmente i seguenti sistemi sono supportati dal package tracking system: arch, bzr (Bazaar), cvs, darcs, git, hg (Mercurial), mtn (Monotone), svn (Subversion). È consentito specificare diversi campi VCS per lo stesso pacchetto: saranno tutti mostrati nell'interfaccia web di PTS.

L'informazione è destinata ad essere utile per un utente esperto nel dato Version Control System e disposto a compilare la versione attuale del pacchetto dai sorgenti VCS. Altri usi di queste informazioni possono includere compilazioni automatiche della versione VCS più recente del dato pacchetto. A tal fine la posizione a cui punta il campo dovrebbe essere la versione migliore rispetto a quella agnostica e puntare al ramo principale (per i VCS che supportano tale concetto). Inoltre, la posizione indicata dovrebbe essere accessibile per l'utente finale; soddisfare questo requisito potrebbe implicare un accesso anonimo al repository invece di puntare a una versione SSH-accessibile dello stesso.

Nel seguente esempio è mostrata un'istanza del campo per un repository Subversion del pacchetto vim. Si noti come l'URL è nello schema svn:// (invece di svn+ssh://) e come si punti al branch trunk/. È anche mostrato l'uso dei campi del Vcs-Browser e Homepage descritti precedentemente.

 Source: vim
 Section: editors
 Priority: optional
 <snip>
 Vcs-Svn: svn://svn.debian.org/svn/pkg-vim/trunk/packages/vim
 Vcs-Browser: http://svn.debian.org/wsvn/pkg-vim/trunk/packages/vim
 Homepage: http://www.vim.org

Le seguenti pratiche integrano la Policy sui file changelog.

La voce del changelog inerente una revisione del pacchetto documenta i cambiamenti in quella specifica revisione e solo loro. Concentrarsi sulla descrizione di cambiamenti significativi e visibili all'utente che sono stati fatti dopo l'ultima versione.

Ci si concentri su ciò che è stato cambiato: chi, come e quando di solito sono meno importanti. Detto questo, ricordarsi di citare le persone che hanno fornito un notevole aiuto nel compilare il pacchetto (ad esempio, coloro che hanno inviato delle patch).

Non c'è bisogno di elaborare le modifiche banali e ovvie. È inoltre possibile aggregare diversi cambiamenti in un'unica voce. D'altra parte, non si sia troppo ermetici se si ha intrapreso un cambiamento importante. Si sia particolarmente chiari se ci sono cambiamenti che influenzano il comportamento del programma. Per ulteriori chiarimenti, utilizzare il README.Debian.

Si utilizzi l'inglese comune in modo che la maggior parte dei lettori possa comprenderlo. Si evitino abbreviazioni, termini tecnici e gergo quando si spiegano i cambiamenti che chiudono i bug, soprattutto per i bug segnalati dagli utenti che non sembrano particolarmente smaliziati dal punto di vista tecnico. Si sia gentili, non si imprechi.

A volte è desiderabile far precedere le voci del changelog con i nomi dei file che sono stati modificati. Tuttavia, non c'è bisogno di elencare esplicitamente uno per uno tutti i file modificati, soprattutto se il cambiamento è stato piccolo o ripetitivo. È possibile utilizzare i metacaratteri.

Quando si parla di bug, non si dia per scontato nulla. Dire quale era il problema, come è stato risolto e aggiungere in fondo la stringa closes: #nnnnn. Per ulteriori informazioni, si consulti Sezione 5.8.4, «Quando i bug vengono chiusi da nuovi upload».

Le voci del changelog non dovrebbero documentare generici problemi di packaging (Ehi, se si è alla ricerca di foo.conf, è in /etc/blah/.), dal momento che si suppone che gli amministratori e gli utenti siano a conoscenza di come queste cose sono generalmente gestite sui sistemi Debian. Parlatene, tuttavia, se si modifica la posizione di un file di configurazione.

Gli unici bug chiusi con una voce nel changelog dovrebbero essere quelli che sono effettivamente chiusi nella stessa versione del pacchetto. Chiudere bug non correlati nel changelog è cattiva pratica. Si veda Sezione 5.8.4, «Quando i bug vengono chiusi da nuovi upload».

Le voci del changelog non dovrebbero essere utilizzate per discussioni casuali con chi ha segnalato il bug (non vedo segmentation fault quando avvio foo con l'opzione bar; invia più informazioni al riguardo), dichiarazioni generali sulla vita, l'universo e tutto il resto (scusate questo caricamento mi ha preso così tanto tempo, ma ho preso l'influenza), o richieste di aiuto (la lista di bug su questo pacchetto è enorme, vi prego di dare una mano). Queste cose di solito non vengono notate, ma possono infastidire le persone che desiderano leggere le informazioni sulle modifiche effettive nel pacchetto. Per ulteriori informazioni su come utilizzare il sistema di bug tracking vedere Sezione 5.8.2, «Rispondere ai bug».

Si tratta di una vecchia tradizione per riconoscere bug corretti in un caricamento di un non-maintainer nella prima voce del changelog dell'appropriato maintainer. Siccome ora abbiamo il version tracking, è sufficiente mantenere le voci del changelog NMUed e citare questo fatto nella propria voce del changelog.

I seguenti esempi dimostrano alcuni errori comuni o di cattivo stile nelle voci del changelog.

 * Fixed all outstanding bugs.

Questo non dice ai lettori qualcosa di particolarmente utile, ovviamente.

 * Applied patch from Jane Random.

Qual'era l'argomento della patch?

 * Late night install target overhaul.

Revisione che ha completato cosa? L'ipotetica citazione notturna è lì a ricordarci che non dovremmo fidarci di quel codice?

 * Fix vsync FU w/ ancient CRTs.

Troppe sigle e non è troppo chiaro a quale la, uh, fsckup (ops, una parolaccia!) si riferiva, o come è stato sistemato.

 * This is not a bug, closes: #nnnnnn.

Innanzitutto, non c'è assolutamente alcun bisogno di caricare il pacchetto per trasmettere queste informazioni; invece, utilizzare il sistema di bug tracking. In secondo luogo, non c'è alcuna spiegazione del perché il rapporto non è un bug.

 * Has been fixed for ages, but I forgot to close; closes: #54321.

Se per qualche motivo non si è citato il numero di bug in una voce precedente del changelog, non è un problema, basta chiudere normalmente il bug nel BTS. Non c'è bisogno di toccare il file changelog, presumendo che la descrizione della correzione sia già indicata (questo vale per le correzioni da parte degli autori/manutentori, non c'è bisogno di tenere traccia dei bug che hanno risolto secoli fa nel proprio changelog).

 * Closes: #12345, #12346, #15432

Dov'è la descrizione? Se non è possibile pensare ad un messaggio descrittivo, iniziare inserendo il titolo di ogni differente bug.

Importanti novità sui i cambiamenti in un pacchetto possono anche essere inserite nei file NEWS.Debian. Le notizie saranno visualizzate da strumenti come apt-listchanges, prima di tutto il resto dei changelog. Questo è il mezzo preferito per permettere all'utente di conoscere i cambiamenti significativi in ??un pacchetto. È meglio che usare le note di debconf in quanto è meno fastidioso e l'utente può tornare indietro e vedere il file NEWS.Debian dopo l'installazione. Ed è meglio rispetto all'elencare i principali cambiamenti presenti in README.Debian, dal momento che l'utente può facilmente perderli.

Il formato del file è lo stesso di un file changelog Debian, ma lasciare fuori gli asterischi e descrivere ogni notizia con un paragrafo completo quando necessario, piuttosto che le più concise sintesi che andrebbero in un changelog. È una buona idea eseguire il file attraverso dpkg-parsechangelog per controllare la formattazione in quanto durante la fase di compilazione non sarà controllata automaticamente come è stato fatto per il changelog. Ecco un esempio di un vero e proprio file NEWS.Debian:

cron (3.0pl1-74) unstable; urgency=low

  The checksecurity script is no longer included with the cron package:
  it now has its own package, checksecurity. If you liked the
  functionality provided with that script, please install the new
  package.

 -- Steve Greenland <stevegr@debian.org> Sat, 6 Sep 2003 17:15:03 -0500

Il file NEWS.Debian è installato come /usr/share/doc/package/NEWS.Debian.gz. È compresso e ha sempre quel nome, anche in pacchetti nativi Debian. Se si utilizza debhelper, dh_installchangelogs installerà il file debian/NEWS per voi.

A differenza dei file changelog, non è necessario aggiornare il file NEWS.Debian ad ogni rilascio. Aggiornarli solo se si ha qualcosa particolarmente degna di nota che l'utente dovrebbe conoscere. Se non si ha alcuna notizia, non c'è bisogno di fornire un file NEWS.Debian. Nessuna notizia è una buona notizia!

Gli script del maintainer includono i file debian/postinst, debian/preinst, debian/prerm e debian/postrm. Questi script si prendono cura di ogni configurazione di installazione o disinstallazione del pacchetto che non è gestito esclusivamente dalla creazione o dalla rimozione di file e cartelle. Le seguenti istruzioni completano la Debian Policy.

Gli script del maintainer devono essere idempotenti. Ciò significa che è necessario assicurarsi che nulla di male accadrà se lo script dovesse essere invocato due volte dove di solito viene lanciato una volta sola.

Gli standard input e output possono essere reindirizzati (ad esempio nelle pipe) per finalità di logging, quindi non utilizzateli come una tty.

Tutte le configurazioni suggerite o interattive devono essere ridotte al minimo. Quando è necessario, si dovrebbe utilizzare il pacchetto debconf per l'interfaccia. Ricordare che il suggerimento in ogni caso può esserci solo nella fase configure dello script postinst.

Mantenere gli script del maintainer più semplici possibile. Si consiglia di utilizzare puri script POSIX. Ricordate, se si ha bisogno di tutte le funzioni di bash, lo script del maintainer deve avere una linea shebang per bash. La shell POSIX o Bash sono preferite a quella Perl, poiché permettono a debhelper di aggiungere facilmente bit agli script.

Se si modificano gli script del maintainer, assicurarsi di testare la rimozione del pacchetto, la doppia installazione e l'epurazione. Assicurarsi che un pacchetto epurato sia completamente sparito, ovvero, deve rimuovere tutti i file creati, direttamente o indirettamente, in tutti gli script del maintainer.

Se è necessario verificare l'esistenza di un comando, si dovrebbe usare qualcosa simile a

if [ -x /usr/sbin/install-docs ]; then...

Se non si desidera codificare il percorso di un comando nello script del maintainer, la seguente funzione shell che soddisfa POSIX potrebbe essere d'aiuto:

pathfind() {
    OLDIFS="$IFS"
    IFS=:
    for p in $PATH; do
        if [ -x "$p/$*" ]; then
            IFS="$OLDIFS"
            return 0
        fi
    done
    IFS="$OLDIFS"
    return 1
}

Si può utilizzare questa funzione per cercare il $PATH di un nome di un comando, passato come argomento. Restituisce true (zero) se il comando è stato trovato e false in caso contrario. Questo è davvero il modo più portatile, dal momento che command -v, type e which non sono POSIX.

Mentre which è una alternativa accettabile, dal momento che fa parte del richiesto pacchetto debianutils, non è nella partizione di root. Ovvero, è in /usr/bin, piuttosto che /bin, quindi non può essere utilizzato in script che vengono eseguiti prima che la partizione /usr sia montata. La maggior parte degli script non avranno questo problema, però.

Debconf è un sistema di gestione della configurazione che può essere utilizzato da tutti i vari script per la pacchettizzazione (principalmente postinst) per richiedere indicazioni all'utente riguardo a come configurare il pacchetto. Interazioni dirette degli utenti ora devono essere evitate a favore dell'interazione con debconf. Ciò consentirà installazioni non interattive in futuro.

Debconf è un grande strumento, ma è spesso mal utilizzato. Molti errori comuni sono elencati nella pagina man di debconf-devel(7). È qualcosa che si deve leggere se si decide di usare debconf. Inoltre, indichiamo qui alcune buone pratiche.

Queste linee guida comprendono un certo stile di scrittura e di raccomandazioni tipografiche, considerazioni generali sull'uso di debconf e raccomandazioni più specifiche per alcune parti della distribuzione (il sistema di installazione, per esempio).

La maggior parte dei maintainer dei pacchetti Debian non sono di madrelingua inglese. Quindi, la scrittura di modelli correttamente formulati, può non essere facile per loro.

utilizzare (e abusare) della mailing list . Avrete le vostre bozze di modelli corrette.

I modelli scritti male danno una cattiva immagine del pacchetto, del proprio lavoro... o anche di Debian stesso.

Evitare il gergo tecnico il più possibile. Se alcuni termini suonano comuni a voi, possono essere impossibili da comprendere per gli altri. Se non si possono evitare, cercare di spiegarli (utilizzare la descrizione estesa). Nel fare ciò, cercare di bilanciarsi tra verbosità e semplicità.

I modelli debconf possono essere tradotti. Debconf, insieme al suo pacchetto fratello po-debconf offre un framework semplice per ottenere i modelli tradotti dai team di traduzione o anche dai singoli individui.

Utilizzare i modelli basati su gettext. Installare po-debconf sul proprio sistema di sviluppo e leggete la sua documentazione (man po-debconf è un buon inizio).

Evitare di modificare i modelli troppo spesso. Cambiare i modelli di testo produce più lavoro per i traduttori che avranno la loro traduzione confusa. Una traduzione confusa è una frase per la quale l'originale sia stata cambiata da quando è stata tradotta, quindi per essere utilizzabile richiede alcuni aggiornamenti da parte di un traduttore. Quando i cambiamenti sono abbastanza piccoli, la traduzione originale è conservata nel file PO, ma contrassegnata come fuzzy.

Se si ha intenzione di modificare i modelli originali, utilizzare il sistema di notifica fornito con il pacchetto po-debconf, vale a dire il podebconf-report-po, per contattare i traduttori. I Traduttori più attivi sono molto reattivi e ottenere il loro lavoro incluso insieme con i vostri modelli modificati vi risparmierà caricamenti aggiuntivi. Se si utilizzano modelli basati su gettext, il nome del traduttore e gli indirizzi di posta elettronica sono menzionati negli header dei file PO e saranno utilizzati da podebconf-report-po.

Un uso consigliato di ciò che questa utility è:

cd debian/po && podebconf-report-po --call --languageteam --withtranslators --deadline="+10 days"

Questo comando innanzitutto sincronizzerà i files PO e POT in debian/po con i file dei modelli elencati in debian/po/POTFILES.in. Poi, invierà una richiesta di nuove traduzioni, nella mailing list . Infine, invierà una richiesta per aggiornare la traduzione sia al team per il supporto della lingua (menzionato nel campo Language-Team di ogni file PO), sia all'ultimo traduttore (menzionato nel campo Last-translator).

Dare una scadenza ai traduttori è sempre apprezzato, in modo tale che possano organizzare il loro lavoro. Ricordare che alcuni gruppi di traduzione hanno un processo formalizzato di traduzione/revisione e un ritardo inferiore a 10 giorni è considerato irragionevole. Un ritardo più breve mette troppa pressione sul team di traduzione e dovrebbe essere utilizzato per modifiche di minore entità.

In caso di dubbio, si può anche contattare il team di traduzione per una determinata lingua (debian-l10n-xxxxx@lists.debian.org), o la mailing list .

Questa parte fornisce alcune informazioni che sono per lo più prese dal manuale debconf-devel(7).

Le descrizioni dei modelli constano di due parti: breve ed estesa. La descrizione breve è nella linea «Description:» del modello.

La descrizione breve dovrebbe essere mantenuta breve (50 caratteri o giù di lì) in modo che possa essere accolta dalla maggior parte delle interfacce di debconf. Mantenerla breve aiuta anche i traduttori, considerato che normalmente le traduzioni tendono a finire per essere più lunghe rispetto all'originale.

La descrizione breve dovrebbe essere in grado di stare in piedi da sola. Alcune interfacce non mostrano la descrizione lunga di default, oppure solo se l'utente esplicitamente la chiede o addirittura non la mostrano affatto. Evitare cose come «cosa vuoi fare?»

La descrizione breve non deve necessariamente essere un periodo completo. Questo fa parte della raccomandazione di mantenerla breve ed efficiente.

La descrizione estesa non deve ripetere la descrizione breve parola per parola. Se non è possibile pensare ad una descrizione lunga, quindi primo, si pensi un po' di più. Si condivida in debian-devel. Si chieda aiuto. Ci si iscriva ad un corso di scrittura! La descrizione estesa è importante. Se dopo tutto questo non è ancora possibile trovare qualcosa, la si lasci vuota.

La descrizione estesa dovrebbe usare periodi completi. I paragrafi devono essere brevi per migliorare la leggibilità. Non mescolare due idee nello stesso punto, piuttosto si usi un altro paragrafo.

Non si sia troppo prolissi. Gli utenti tendono a ignorare schermate troppo lunghe. 20 righe sono per esperienza un limite che non si dovrebbe oltrepassare, perché ciò significa che nella finestra di interfaccia classica, le persone avranno bisogno di scorrere e molte persone semplicemente non lo fanno.

La descrizione estesa non dovrebbe mai includere una domanda.

Per specifiche regole inerenti il tipo di template (string, boolean, etc), leggere qui di seguito.

Qui di seguito sono istruzioni specifiche per scrivere correttamente la descrizione (breve e lunga) a seconda del tipo di modello.

Se il valore di default, per un modello di selezione, può variare a seconda della lingua dell'utente (per esempio, se la scelta è una scelta della lingua), utilizzare il trucco «_Default».

Questo campo speciale permette ai traduttori di mettere la scelta più appropriata in base alla loro propria lingua. Diventerà la scelta di default quando sarà usato il loro linguaggio mentre la vostra «Scelta di Default» verrà usata quando si utilizza l'inglese.

Esempio, tratto dai modelli del pacchetto geneweb:

Template: geneweb/lang
Type: select
__Choices: Afrikaans (af), Bulgarian (bg), Catalan (ca), Chinese (zh), Czech (cs), Danish (da), Dutch (nl), English (en), Esperanto (eo), Estonian (et), Finnish (fi), French (fr), German (de), Hebrew (he), Icelandic (is), Italian (it), Latvian (lv), Norwegian (no), Polish (pl), Portuguese (pt), Romanian (ro), Russian (ru), Spanish (es), Swedish (sv)
# This is the default choice. Translators may put their own language here
# instead of the default.
# WARNING : you MUST use the ENGLISH NAME of your language
# For instance, the french translator will need to put French (fr) here.
_Default: English[ translators, please see comment in PO files]
_Description: Geneweb default language:

Si noti l'uso dei «cancelletti» che consentano i commenti interni nei campi di debconf. Da notare anche l'uso di commenti che appariranno nel file sui quali i traduttori lavoreranno.

I commenti sono necessari dal momento che il trucco _Default genera un po' di confusione: i traduttori potranno mettere la propria scelta

NON usare un campo predefinito vuoto. Se non si desidera utilizzare i valori di Default, non usarli.

Se si utilizza po-debconf (e si dovrebbe, si consulti Sezione 6.5.2.2, «Sii gentile con i traduttori»), si consideri di marcare questo campo come traducibile, se si pensa che possa essere tradotto.

Se il valore predefinito può variare a seconda della lingua/paese (ad esempio, il valore predefinito per una scelta della lingua), è possibile utilizzare il tipo speciale _Default documentato in po-debconf(7).

Questa sezione contiene le informazioni a livello generale per gli sviluppatori al fine di rendere più facile la vita dei traduttori. Maggiori informazioni per i traduttori e gli sviluppatori interessati alla internazionalizzazione sono disponibili nella documentazione Internazionalizzazione e localizzazione in Debian.

Internazionalizzare la documentazione è fondamentale per gli utenti, ma richiede molto lavoro. Non c'è modo di eliminare tutto quel lavoro, ma si possono rendere le cose più facili per i traduttori.

Se si mantiene una documentazione di qualsiasi dimensione, è più facile per i traduttori se hanno accesso ad un sistema di controllo del codice sorgente. Ciò consente ai traduttori di vedere le differenze tra due versioni della documentazione, così, per esempio, si può vedere ciò che deve essere ritradotto. Si raccomanda che la documentazione tradotta mantenga una nota circa la versione del codice sulla quale è basata. Un sistema interessante è fornito dal doc-check nel pacchetto debian-installer, che mostra una panoramica dello stato di traduzione per ogni lingua, utilizzando i commenti strutturati per la revisione in corso del file da tradurre e, per un file tradotto, la revisione del file originale della traduzione sulla quale si basa. Si potrebbe desiderare di adattarla e di fornirla nel proprio VCS.

Se si mantiene la documentazione XML o SGML, vi consigliamo di isolare qualsiasi informazione indipendente dal linguaggio e definirla come entità in un file separato che è incluso da tutte le diverse traduzioni. Ciò rende molto più facile, per esempio, mantenere gli URL aggiornati in più file.

Alcuni strumenti (ad es po4a, poxml, o il translate-toolkit) sono specializzati nell'estrazione del materiale traducibile da diversi formati. Producono i file PO, un formato abbastanza comune ai traduttori, che permette di vedere ciò che deve essere ritradotto quando il documento tradotto viene aggiornato.

Assicurarsi di seguire la policy Policy sulla documentazione.

Se il pacchetto contiene la documentazione compilata a partire da XML o SGML, si consiglia di non includere il sorgente XML o SGML nel pacchetto binario. Se gli utenti vogliono il sorgente della documentazione, dovrebbero poter recuperare il pacchetto sorgente.

La policy specifica che la documentazione deve essere fornita in formato HTML. Si consiglia anche di inserire la documentazione in formato PDF e testo normale se conveniente e se è possibile output di discreta qualità. Tuttavia, non è in genere appropriato includere la versione in testo semplice della documentazione il cui formato sorgente è HTML.

La maggior parte dei manuali dovrebbe registrarsi con doc-base durante l'installazione. Si consulti la documentazione del pacchetto doc-base per ulteriori informazioni.

La policy di Debian (sezione 12.1) indica che le pagine del manuale dovrebbero accompagnare ogni programma, utility e la funzione e suggerirli per altri oggetti come file di configurazione. Se il lavoro che si sta pacchettizzando non ha queste pagine di manuale, si consideri la loro scrittura per l'inclusione nel pacchetto e di sottoporla allo sviluppatore originale.

Le pagine man non necessitano di essere scritte direttamente in formato troff. I formati file più diffusi sono DocBook, POD e di reST, che possono essere convertiti usando xsltproc, pod2man e rst2man rispettivamente. In misura minore, il programma help2man può anche essere utilizzato per scrivere uno stub.

Vari tipi specifici di pacchetti hanno particolari sub-politiche e rispettive pratiche e regole per la pacchettizzazione:

  • I relativi pacchetti Perl hanno una Perl policy, alcuni esempi di pacchetti che seguono tale policy sono libdbd-pg-perl (modulo binario perl) o libmldbm-perl (modulo perl indipendente dall'architettura).

  • I relativi pacchetti Python hanno la loro policy python; si consulti /usr/share/doc/python/python-policy.txt.gz nel pacchetto python.

  • I relativi pacchetti Emacs hanno la emacs policy.

  • I relativi pacchetti Java hanno la loro java policy.

  • I relativi pacchetti Ocaml hanno la loro politica, che si trova in /usr/share/doc/ocaml/ocaml_packaging_policy.gz del pacchetto ocaml. Un buon esempio è il pacchetto dei sorgenti di camlzip.

  • I pacchetti che forniscono XML o SGML DTD devono essere conformi alle indicazioni fornite nel pacchetto sgml-base-doc.

  • I pacchetti Lisp si devono registrare con il common-lisp-controller, a proposito del quale si veda /usr/share/doc/common-lisp-controller/README.packaging.

Ci sono due tipi di tarball dei sorgenti originali: sorgente puro e sorgente originale ripacchettizzato.

La caratteristica distintiva di un tarball sorgente incontaminato è che il .orig.tar.{gz,bz2,xz} è byte-per-byte identico a un tarball ufficialmente distribuito dall'autore originale. [5] Questo rende possibile l'utilizzo di checksum per verificare facilmente che tutte le modifiche tra la versione di Debian e quella originale siano contenute nel Debian diff. Inoltre, se il sorgente originale è enorme, gli autori originali e chiunque possieda già l'archivio originale possono risparmiare tempo di download, se vogliono ispezionare il pacchetto in dettaglio.

Non ci sono linee guida universalmente accettate che gli autori originali seguono per quanto riguarda la struttura delle cartelle all'interno del loro tarball, ma dpkg-source è tuttavia in grado di affrontare la maggior parte delle tarball originali come sorgente puro. La sua strategia è equivalente alla seguente:

  1. Si scompatta l'archivio in una cartella temporanea vuota facendo

    zcat path/to/packagename_upstream-version.orig.tar.gz | tar xf -
    
  2. Se, dopo questo, la cartella temporanea non contiene nulla, ma una sola cartella e nessun altro file, dpkg-source rinomina quella cartella in packagename-upstream-version (.orig). Il nome della più alta cartella nella tarball non ha importanza, ed è tralasciata.

  3. In caso contrario, l'archivio originale deve essere stato confezionato senza una comune cartella di livello alto (vergogna sull'autore originale!). In questo caso, dpkg-source rinomina la cartella temporanea stessa in packagename-upstream-version (.orig).

Si dovrebbe caricare i pacchetti con un tarball sorgente puro, se possibile, ma ci sono vari motivi per cui potrebbe non essere possibile. Questo è il caso in cui se l'autore originale non distribuisce il sorgente come non completamente compresso in formato tar, o se il tarball originale contiene materiale non DFSG-free che è necessario rimuovere prima di caricare.

In questi casi, lo sviluppatore deve costruirsi un .orig.tar.{gz,bz2,xz} adatto. Ci si riferisce a un tale tarball come sorgente originale ripacchettizato. Si noti che un sorgente originale ripacchettizato è diverso da un pacchetto Debian nativo. Un sorgente originale ripacchettizato con modifiche specifiche per Debian ancora viene distribuito in un separato .diff.gz o .debian.tar.{gz,bz2,xz} e ha ancora un numero di versione composto da upstream-version e debian-version.

Ci possono essere casi in cui è auspicabile pacchettizzare nuovamente il sorgente anche se l'autore originale distribuisce un .tar.{gz,bz2,xz} che potrebbe in linea di principio essere utilizzato nella sua forma originaria. Il più ovvio è se un significativo risparmio di spazio può essere ottenuto ricomprimendo l'archivio tar o rimuovendo genuinamente dell'inutile fuffa dall'archivio originale. Si usi la propria discrezione qui, ma si sia pronti a difendere la propria decisione se si pacchettizza nuovamente il sorgente che poteva esser puro.

Un .orig.tar.{gz,bz2,xz} ripacchettizzato

  1. dovrebbe essere documentata nel pacchetto sorgente risultante. Informazioni dettagliate su come è stato ottenuto il sorgente ripacchettizzato e su come questo può essere riprodotto dovrebbero essere fornite in debian/copyright. È anche una buona idea fornire un get-orig-source target nel proprio debian/rules, che ripete il processo, come descritto nel Policy Manual, Script principale per la compilazione: debian/rules.

  2. non dovrebbe contenere qualsiasi tipo di file che non proviene dall'autore originale, o il cui contenuto è stato modificato. [6]

  3. dovrebbe, salvo che per motivi legali, preservare l'intera infrastruttura per la compilazione e per la portabilità fornita dall'autore originale. Ad esempio, non è una ragione sufficiente per omettere un file che viene utilizzato solo quando si compila su MS-DOS. Allo stesso modo, un Makefile fornito dall'autore originale non dovrebbe essere omesso anche se la prima cosa che il proprio debian/rules fa è sovrascriverlo eseguendo uno script di configurazione.

    (Motivazione: È comune per gli utenti Debian che hanno bisogno di compilare software per piattaforme non-Debian prendere il sorgente da uno dei mirror Debian piuttosto che cercare di individuare un punto canonico di distribuzione originale).

  4. dovrebbe usare packagename-upstream-version.orig come nome per la più alta cartella nel suo tarball. Ciò rende possibile distinguere tarball puri da quelli ripacchettizzati.

  5. dovrebbe essere compresso con gzip o bzip con la massima compressione.

Un pacchetto di debug è un pacchetto con un nome che termina in -dbg, che contiene ulteriori informazioni che gdb può utilizzare. Poiché i binari di Debian vengono separati di default, le informazioni di debug, compresi i nomi delle funzioni e numeri di riga, non sono disponibili quando si esegue gdb su binari Debian. I pacchetti di debug consentono di installarli agli utenti che hanno bisogno di queste informazioni aggiuntive, senza appesantire un regolare sistema con queste informazioni.

Spetta al maintainer di un pacchetto se creare un pacchetto di debug o meno. I maintainer sono incoraggiati a creare i pacchetti di debug per i pacchetti di libreria, dal momento che questi possono aiutare nel debug di molti programmi legati ad una libreria. In generale, i pacchetti di debug non devono essere aggiunti per tutti i programmi, facendo così appesantire l'archivio. Ma se un maintainer ritiene che gli utenti spesso hanno bisogno di una versione di debug di un programma, può essere utile fare un pacchetto di debug. I programmi che fanno parte dell'infrastruttura di base, come ad esempio Apache e il server X sono anche dei buoni candidati per i pacchetti di debug.

Alcuni pacchetti di debug possono contenere un completo e particolare versione di debug compilata di una libreria o di altro binario, ma la maggior parte di loro può risparmiare spazio e tempo di compilazione contenendo invece simboli di debug separati che gdb è in grado di trovare e caricare al volo quando si effettua il debug di un programma o di una libreria. La convenzione in Debian è quella di mantenere questi simboli in /usr/lib/debug/path, dove path è il percorso al file eseguibile o alla libreria. Ad esempio, i simboli di debug per /usr/bin/foo vanno in /usr/lib/debug/usr/bin/foo e simboli di debug per /usr/lib/libfoo.so.1 vanno in /usr/lib/debug/usr/lib/libfoo.so.1.

I simboli di debug possono essere estratti da un file oggetto usando objcopy - only-keep-debug. Successivamente il file oggetto può essere spogliato e objcopy - add-gnu-debuglink è utilizzato per specificare il percorso del file di simboli di debug. objcopy(1) spiega nel dettaglio come funziona questo processo.

Il comando dh_strip in debhelper supporta la creazione di pacchetti di debug e può prendersi cura per voi di utilizzare objcopy per separare i simboli di debug. Se il pacchetto utilizza debhelper, tutto quello che dovete fare è chiamare dh_strip - DBG-package = libfoo-dbg, ed aggiungere una voce al debian/control per il pacchetto di debug.

Si noti che il pacchetto di debug dovrebbe dipendere dal pacchetto per il quale fornisce i simboli di debug e questa dipendenza dovrebbe essere versionata. Per esempio:

Depends: libfoo (= ${binary:Version})


[5] Non possiamo impedire agli autori originali di cambiare il tarball che distribuiscono senza anche incrementare il numero di versione, quindi non ci può essere alcuna garanzia che in qualsiasi momento un tarball puro sia identico a quello di upstream attualmente in distribuzione. Tutto ciò che ci si può aspettare è che sia identico a qualcosa che l'autore originale una volta ha distribuito. Se una differenza dovesse emergere in seguito (ad esempio, se l'upstream si accorgesse che non stava usando la massima compressione nella distribuzione originale e dunque di comprimerlo nuovamente con gzip), semplicemente non è una buona cosa. Poiché non vi è alcun buon modo per caricare un nuovo .orig.tar.{gz,bz2,xz} per la stessa versione, non c'è nemmeno alcuna indicazione se trattare questa situazione come un bug.

[6] Come eccezione, se l'omissione di file non liberi porterebbe il sorgente a fallire la compilazione senza assistenza da parte del Debian diff, potrebbe essere opportuno modificare invece i file, omettendo solo le loro parti non-free, o spiegare la situazione in un README.source nella radice dell'albero del sorgente. Ma anche in questo caso sollecitare l'autore originale affinché renda i componenti non liberi facilmente separabili dal resto del sorgente.